Dell'eguaglianza
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L’idea di fondo è che il principio di eguaglianza, alla base di ogni sistema democratico, definisce la posizione del cittadino al suo interno assegnando ad ognuno il medesimo valore. Il divieto di privilegi favorevoli od odiosi e di leggi personali costituisce lo zoccolo duro del principio caratterizzante la stessa forma di Stato. Accanto ad esso la giurisprudenza pone in luce il divieto di distinzioni o di equiparazioni irragionevoli, da cui essa trae un autonomo principio di ragionevolezza dalle disposizioni legislative e di razionalità dell’intero ordinamento.
Ma la ragionevolezza va coniugata, si chiarisce nel saggio, con i valori costituzionali espressi o impliciti nel sistema, alla stregua dei quali le distinzioni e le equiparazioni devono essere misurate. Tra questi valori il primo è il lavoro, che la costituzione italiana pone a fondamento della repubblica, l’altro è la pari dignità sociale che qualifica lo stesso principio di eguaglianza, il terzo è l’eguaglianza sostanziale, che impone al legislatore la rimozione degli ostacoli di fatto alla piena libertà ed eguaglianza dei cittadini, al fine della loro massima partecipazione alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
L’inserimento dell’Italia all’interno del processo d’integrazione politica europea e nella comunità internazionale solleva però problemi che superano lo stretto ambito del diritto costituzionale interno e suscitano in particolare l’esigenza di ricondurre le distinzioni poste dalla legislazione nazionale ad una ragionevolezza sopranazionale e globale. Di fonte ad essi lo studioso del diritto interno può solo auspicare la realizzazione di un’eguaglianza universale affidata a norme e ad istituzioni internazionali idonee a coordinare e a limitare in nome di essa la legislazione interna dei vari Stati.