Con poche pennellate precise Amos Oz ricrea il microcosmo di un kibbutz israeliano negli anni Cinquanta. Dal giardiniere timido e solitario che ha la passione di dare brutte notizie, alla donna lasciata dal marito per un’altra che le vive praticamente accanto, dal vecchio elettricista che, con sbigottita discrezione, non riesce a capacitarsi dell’amore della figlia diciottenne per il suo insegnante di storia, al falegname pettegolo che in preda all’ira schiaffeggia il compagno delle elementari del figlio, dalle tentazioni sensuali del segretario del kibbutz durante la sua ronda notturna, all’indimenticabile racconto agrodolce degli ultimi giorni di un calzolaio anarchico, appassionato di esperanto e del futuro dell’umanità. La perfezione dell’esecuzione e la profondità di sguardo di quell’eccezionale scrutatore di anime che è Amos Oz danno vita a un affresco indimenticabile, popolato di personaggi che ritornano di storia in storia e che devono la loro forza a un’intensa, luminosa umanità.