Quando il viaggiatore e scrittore veneziano Marco Polo visitò la terra del Sol Levante, durante il suo viaggio in estremo Oriente tra il 1271 e il 1288, raccontò le meraviglie del luogo ne Il Milione, chiamando il Giappone l’isola Cipango (o Zipangu). La descrisse come una terra grande e rigogliosa, ricca di pietre preziose e oro, tanto da rivestirne i tetti del palazzo reale e le sue stanze. Dopo di lui molti navigatori giunsero lì, attirati dalle ricchezze e dalle narrazioni fantastiche che riecheggiavano fino in occidente. Ancora oggi il fascino del Giappone alimenta la fantasia di scrittori e scrittrici come Francesca Angelinelli che da tempo si dedica alla letteratura fantasy orientale.
Ne La sposa di Kyoto l’autrice delinea quel sapore antico della cultura nipponica imperialista: il clima mite, il suono dei campanelli votivi del tempio scintoista,l’atmosfera raffinata e silente, la sobrietà di un giardino zen, la dama aristocratica, la serva fedele.
Tutto richiama a quella cultura millenaria e lontana che rende il racconto una perla di rara bellezza.
Il finale inaspettato ha un gusto malinconico e uno spirito tetro, ma il romanticismo mesto, di cui il racconto è pregno, ne fa una novella elegante e delicata pur mantenendo il vigore dell’inquietudine.