Diario di una breve stagione
Om bogen
Ho incontrato Ferrante per la prima volta nella scuola, al liceo classico “Virgilio” di Mantova: stava nel primo banco, proprio davanti alla cattedra.
Attento, preciso fino alla meticolosità, interveniva pacato, serio, nelle ore di scuola, come uno che stava continuando un suo discorso interiore che da tempo andava rielaborando. Poi il suo sorriso aperto, che gli illuminava il volto, mentre scherzava con gli amici durante gli intervalli, mi richiamava alla sua giovane età. Aveva allora diciassette anni. Dal tempo del ginnasio era affetto da linfogranuloma.
Nell’anno in cui io lo conobbi (1966), Ferrante già sapeva del suo male. In ospedale era riuscito ad impossessarsi della propria cartella clinica, e poi s’era informato su dei libri di medicina. Ma noi non ce n’eravamo accorti.
Così scrive – nella Presentazione – il suo insegnate di religione.
Le pagine di diario, qui ripubblicate in Terza edizione, sono il risvolto interiore dell’ultimo anno di vita di Ferrante Bandera, la storia segreta della sua lunga vigilia. Vi troviamo i sogni, le attese, i rimpianti, la fierezza di tanti giovani, vissuti ed espressi con una particolare acutezza e lucidità, così da trascendere il semplice fatto episodico e farsi discorso sull’uomo.
Ferrante è stato un ragazzo che ha vissuto la sua giovinezza, prematuramente interrotta, negli anni Sessanta; un giovane che amò la vita non come un dono da custodire gelosamente per se stessi, ma come un bene da condividere generosamente con gli altri, che cercò una via di autenticità contro ogni moda conformistica del tempo.
Per questo il suo diario può ancora dire tantissimo ai giovani del nostro tempo, e, insieme, rappresentarli nelle loro aspirazioni e istanze più vere.