I fiori del male
Om bogen
Provato da una vita travagliata e disordinata, Charles Baudelaire tende a realizzare una poesia che dell’uomo, delle sue cadute e dei suoi disperati tentativi di rialzarsi, della sua sublimità e delle sue bassezze, della ininterrotta altalena tra ennui e idéal, tra disgusto di sé, noia esistenziale da un lato e aspirazioni ideali dall’altro, sia la cronaca e l’epos insieme, l’analisi inclemente e la celebrazione commossa e pietosa. Diviso tra il bisogno di elevarsi e il bisogno di assaporare i forti liquori del peccato; attratto di volta in volta, talora al tempo stesso, e respinto dagli estremi – l’amore che invoca l’odio e se ne nutre – Baudelaire era in preda a una crudele ambivalenza affettiva. Il punto di partenza dal quale muovono tanti atteggiamenti del Poeta è la sua coscienza di esiliato, di angelo caduto e quindi di estraneità al mondo in cui vive. Questa coscienza di diversità ed estraneità approda o alla cupa accidia, a una stanchezza che è insieme disgusto o a un atteggiamento di rivolta cui subentra la frustrazione. Le plaghe da cui si è esiliati (l’infanzia e l’immagine della madre, la fede cattolica nella quale era stato educato, la realizzazione di una ideale integrità e pienezza del vivere) non sono però raggiungibili benché continuamente sentite e cercate: non restano che l’aspirazione alla bellezza e all’arte perseguita con religiosa dedizione, l’oblio disperata condizione, il sogno di nuovi paradisi che ripaghino almeno di ciò da cui si è esiliati. E quindi i paradisi artificiali della droga o di qualsiasi altra sollecitazione che permetta di abbandonarsi a nuove sensazioni di colori, di musiche, di profumi. Oppure – altra soluzione – il vagheggiamento di partire (in senso proprio sì come simbolico, allusivo) di andare verso ciò che è diverso, insolito, sottraendosi così alla triste trama dei giorni già scontati in partenza. Un mondo interiore così complesso necessita di una poesia ricca di nuances, cioè di sfumature, di suggestioni, di accordi più suggeriti che definiti, la parola cercata più in base al potenziale di musicalità che alla sua capacità definitoria e di classificazione. Queste suggestioni e questi accordi, questo crollo dei confini dei cinque sensi per cui un suono può evocare un colore o un profumo suggerire un paesaggio: compito del poeta è scoprire il senso riposto, l’essenza che si cela oltre l’apparenza: un invito a servirsi liberamente delle parole e delle immagini e ad associarle non tanto secondo l’uso della logica pura, quanto a seconda della loro risonanza psicologica e della legge misteriosa dell’analogia universale.