Il pasto degli sciacalli
Om bogen
Il pasto degli sciacalli. Negli anni Settanta e Ottanta, l’area elegante e ricca delle ville della Crocetta e le vie attorno al Politecnico, con il calar della sera, diventavano il regno dei travestiti: sin quasi all’alba, un rutilante circo di sguaiatezze, di fracasso, il frastuono delle auto dei clienti in cerca di sesso da consumare in auto, di contrattazioni urlate, litigi, esibizionismi, i marciapiedi trasformati in passerelle di uomini vestiti (più spesso svestiti) da donna. Un bordello sotto le stelle che faceva concorrenza agli altri, innumerevoli, allestiti sui grandi viali torinesi da una legione di prostitute. In quello della Crocetta, una notte d’inverno, una pistola spara, recide tre vite. Per l’assassino inizia l’ansiosa corsa per salvarsi: dalla polizia, dall’ergastolo e dal gorgo del ricatto architettato da chi sa che è stato lui a uccidere.
«La pistola, Cristo santo, la pistola. Impugnò l’arma, fece scorrere la sicura. L’appuntato Murru era a un passo, la torcia puntata verso terra. Intuì che dal borsello non stava uscendo la patente, fece uno scarto di lato. Troppo tardi. La prima pallottola lo raggiunse al torace. La seconda squarciò la gola. L’agente Mion, microfono in pugno: ‘18 a centrale’. ‘Avanti, 18.’ ‘La targa è, TO…’ Gli spari che uccidevano l’appuntato coprirono la voce del poliziotto. Mion credette di avere un’allucinazione. Quei rumori secchi, assordanti, il collega che cadeva, un’ombra che trapassava i fari della volante, spariva. No, eccola di nuovo. Davanti. A un metro. Mion spalancò la bocca. ‘No, cazzo, no.’ Morì così. Fulminato da un proiettile in fronte. Scivolò sul fianco, le dita strette attorno alla manopola del microfono schiacciavano il pulsante, la comunicazione con la questura rimaneva aperta.»
Il pasto degli sciacalli. Una storia nera, fulminea e devastante come una pallottola, un fuoco d’artificio di colpi di scena a illuminare un mondo di sogni e di bassezze, di gioie (poche) e sofferenze (tante). Il nuovo noir torinese firmato Claudio Giacchino. Crudo, sporco, sempre al limite. Talvolta anche oltre.