L'ultima nomade
Om bogen
Nel suo romanzo d’esordio, Shugri Said Salh narra della propria esperienza di vita in un racconto che copre la distanza tra due continenti e un arco temporale di circa quarant’anni: dall’infanzia e l’adolescenza in Somalia, la sua terra natia, alla travagliata fuga dal paese in seguito allo scoppio della guerra civile sul finire degli anni Ottanta, fino all’arrivo in Nord America con un visto da rifugiata. In una società basata su un rigido sistema di clan patrilineare e in cui troppe figlie femmine sono quasi considerate un fardello, a soli sei anni Shugri viene affidata all’amatissima nonna materna nomade, la quale le infonde un’incancellabile resilienza nel periodo di quotidianità condivisa nel deserto somalo. Ultima del suo albero genealogico a confrontarsi con tale stile di vita un tempo comune, Shugri si ritrova a inseguire facoceri, scalare termitai e pascolare capre, in costante movimento con i parenti del suo clan, alla ricerca di acqua e bestiame. Il deserto somalo rappresenta quindi una cornice spazio-temporale di esistenza e formazione a cui l’autrice guarda tutt’oggi con nostalgia dalla prospettiva della sua attuale vita suburbana in California. Ciò non negando la cruda asperità dell’esistenza nomade né evitando di criticare gli aspetti tradizionali più problematici di una cultura (quella somala pre-guerra civile) di cui Salh tenta simultaneamente di celebrare la ricchezza, mantenere vivo il ricordo e promuovere la conoscenza. È, infatti, con franchezza coinvolgente e un fiero femminismo che l’autrice narra dei tentativi di emanciparsi dai dettami patriarcali della propria cultura, della mutilazione genitale forzata, della perdita della madre e di un crescente desiderio di indipendenza. A un tempo diretto e poetico, L’ultima nomade è un appassionante racconto che parla di crescita, resilienza, sopravvivenza e di come il concetto di “casa” sia tutt’altro che invariabile.