Nagorno Karabakh, la tregua fragile
Om bogen
Dal 1994 il 20 per cento dell’Azerbaigian è, di fatto, sotto il controllo delle forze armate dell’Armenia. In quell’anno fu negoziato il cessate-il-fuoco che congelò il conflitto (1992-1994) fra i separatisti armeni del Nagorno-Karabakh sostenuti dai soldati armeni e l’esercito di Baku. Con il Nagorno-Karabakh, regione autonoma a maggioranza armena in territorio azero, gli armeni occuparono anche sette province circostanti popolate quasi esclusivamente da comunità di etnia azera. Per Baku si è trattato di una catastrofe nazionale, una ferita profonda e lancinante che non si è mai rimarginata. Furono 30.000 i morti e 900.000 gli sfollati costretti ad abbandonare in fretta a furia abitazioni e proprietà per rifugiarsi a est, verso zone più sicure. Da allora poco o nulla è cambiato. All’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) fu affidato il compito di trovare una soluzione di compromesso fra le parti che portasse a un accordo di pace definitivo. Aria fritta utile solo a creare posti di lavoro per la diplomazia internazionale. Le feluche di Russia, Stati Uniti e Francia, i tre Paesi designati a guidare i negoziati, fanno regolarmente la spola fra Erevan e Baku senza cavare un ragno dal buco. Tutto rimane come prima. La guerra è finita ma la pace non è mai cominciata. Nonostante l’accordo del 1994, il fuoco non è mai cessato sulla linea che separa le parti. Il tiro incrociato dei cecchini armeni e azeri rompe periodicamente il silenzio e le vittime sono spesso civili inermi che ostinatamente rifiutano di abbandonare i luoghi di origine.