Una serenata ai morti
Om bogen
Non mi fido mai della critica, perché spesso e volentieri dice cose non vere, così ho preferito leggere e ho letto Una serenata ai morti che è un lungo racconto più che un romanzo vero e proprio. In primis l’autore presenta i personaggi e lo fa con tale finezza e immediata semplice freschezza che non è possibile parlare di artificio o “accozzamento”. La prosa scorre leggera, a tratti ironica e scanzonata nel registro del basso, a tratti quasi lirica, mai patetica, noiosa o volgare. Le descrizioni sono brevi, lancinanti, ricche di termini desueti che tradiscono una continua ricerca sul linguaggio, uno scavo che porta al recupero storico di termini che, incastonati perfettamente nel contesto, diventano comprensibilissimi. Occorre essere davvero malevoli per dire che Faldella “razzola per dizionari” col tentativo di cavarne termini da appiccicare a caso nel testo che invece è ben misurato, poi vira improvviso e geniale nel surreale con una cesura contenutistica che il lettore non si aspetta, come una doccia fresca in estate che ti lascia un po’ attonito ma felicissimamente sorpreso. La storia è molto semplice ed evidenzia perfino nella sua brevità alcuni elementi tipici di una società italiana che non è mai morta: la raccomandazione, il mammismo, il disimpegno, il fascino satanico della bellezza. Rolando, per esempio è un disimpiegato, uno scioperato causa sia “la poca voglia di studiare” che “il desiderio della mamma di averlo ognora attaccato alla gonnella”.