Dialogo sui tre principi della scienza - Perché una fondazione etica è necessaria all’epistemologia
I. La parola e l’atto
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La recente pandemia ha chiamato in causa la scienza due volte e per motivi contrari: sia perché, attraverso le tecnologie, ha facilitato la diffusione del virus (se il virus non è addirittura sfuggito ad un laboratorio di microbiologia di Wuhan), sia perché ha rapidamente contribuito ad attenuarne gli effetti, grazie all’individuazione d’un vaccino; tuttavia ciò non ha impedito a molti di non credere al valore terapeutico del vaccino, come se nemmeno le evidenze della morte fossero sufficienti a fidarsi della scienza, sospettata d’essere al servizio d’un planetario complotto antidemocratico.
Ma che cos’è la scienza, e fino a che punto ce ne possiamo fidare? Questo libro, scritto alcuni anni prima della pandemia, si pone questa domanda, anche a partire dall’esperienza della psicanalisi.
La psicanalisi di solito non viene considerata una scienza, perché la sua teoria, secondo Popper, non sarebbe falsificabile. Si pensa che la scienza metta in relazione le cose (la “natura”) con delle leggi matematiche (vale a dire con dei simboli e dei concetti). Perciò si esclude la psicanalisi dal novero delle scienze. Però in questo modo si trascura il fatto che l’epistemologia novecentesca ritiene che i suoi princìpi siano solo due – gli enti ed il lógos oppure la natura e la matematica –, non tenendo conto in questo modo del fatto che mettere in relazione due entità è un atto, e che quindi la scienza ha anche questo terzo principio, senza il quale nemmeno i primi due basterebbero a fondarla. La scienza deve dunque essere pensata in termini triadici, perché affianca alla descrizione logica degli enti anche l’interrogazione etica sugli atti.
Nel primo tomo del Dialogo, “La parola e l’atto” (a cui faranno seguito un secondo, “La scienza, fra l’etica e l’ontologia” e un terzo, “La scienza come pratica formativa”) emerge il valore costitutivo dell’atto nella scienza e si delinea la differenza fra l’epistemologia diadica tradizionale, di origine aristotelica, e l’epistemologia triadica, di origine platonica, che include l’etica fra i princìpi della scienza.
La verità della scienza, come mostra l’epistemologia trascendentale – da Cartesio, a Kant, a Husserl – non può fondarsi sull’astrazione del pensiero – da cui sorgono inevitabilmente lo scetticismo e la sfiducia nella scienza – ma sull’inaggirabilità dell’atto di pensare. Ecco perché la fondazione trascendentale della scienza è etica, prima ancora che ontologica o logica. Proprio in questo individuiamo, anche grazie al contributo di Lacan, uno dei compiti fondamentali della psicanalisi: ridisegnare i confini epistemologici della scienza, riconducendola all’atto libero degli esseri parlanti.