Su ciò che viene chiamato «arte»
L’arte vista da Tolstój
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Questo saggio di Tolstój è stato scritto nel 1896, ossia sette anni dopo Sonata «Kreutzer», del 1889. Il tema di quel romanzo – il sottovalutato strapotere manipolatorio della musica sulla volontà umana – viene qui ripreso in forma diversa e più generale.
Le varie arti sono affrontate insieme in parallelo, e si analizza in particolare il ruolo dell’arte nella società. Se nel Parassitismo (1910) lo scrittore divide le persone in due categorie, quelle che faticano e quelle che vivono a spese di chi fatica, qui lo stesso tratto distintivo è applicato agli artisti e ai fruitori dell’opera d’arte. Tolstój si domanda come possa un artista – che conduce una vita priva di fatica fisica e ha valori etici di riferimento diversi dall’operaio e dal contadino “faticatori” – trasmettere attraverso l’arte un messaggio che risulti coinvolgente per le masse popolari.
Oggi forse diremmo che l’artista moderno – in questa visione tolstojana – è autoreferenziale, e quindi i suoi prodotti non possono esercitare un appello sulle masse. L’arte permette a chi conduce una vita di fatica di riposarsi, distrarsi, rigenerarsi mediante la «percezione passiva dei sentimenti altrui». Per Tolstój l’artista prova sentimenti che il faticatore per definizione non può provare – per mancanza di tempo ed energia – e li “mette a disposizione” del popolo attraverso l’opera d’arte. Secondo lo scrittore, la persona che ascolta, per esempio, un brano musicale prova le stesse cose che provava il compositore quando l’ha scritto. Oggi forse diremmo che l’artista fa provare in modo virtuale all’uomo di fatica ciò che l’artista ha provato in modo empirico.
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Italian