Sui linguaggi operativi e il mondo contemporaneo
L’assassinio del linguaggio nel totalitarismo post-moderno
Description of book
Questo breve testo – ultimo di quattro capitoli di una ricerca più articolata che si basa sul pensiero di Hannah Arendt, ma perfettamente leggibile nella sua autonomia – interroga, analizzandone identità e differenze, il legame dei totalitarismi del XX secolo con il totalitarismo sui generis che caratterizza la “post-modernità”, cioè la nostra contemporaneità, dove l’estremo sviluppo del capitalismo sembra aver trovato nella democrazia neoliberista la sua forma compiuta e definitiva. Al punto che alcuni suoi alfieri considerano il neoliberismo come la forma compiuta e definitiva della democrazia stessa, e nientemeno che la “fine della Storia”, concepita come la fine della sovranità degli Stati, della politica e delle ideologie.
Se negli ultimi decenni la letteratura dedicata all’esplorazione dei molteplici e decentrati poteri della post-modernità è diventata imponente (quasi dovesse rispondere alla domanda di sapere che cosa ci è successo), il primo pregio dello scritto di Nguyen è di affrontare il totalitarismo specificamente dal punto di vista dell’analisi dei mutamenti che ha imposto alla lingua comune (quella che Pasolini, citato dall’autore, chiamava la “lingua umanistica”).
L’autore analizza l’origine e la funzione dei neologismi, dello storytelling management, degli eufemismi, del correct, dei transfert del gergo scientista e manageriale sulla lingua umanistica ecc., che stanno epurando il linguaggio dalle sue risorse espressive, e dalla tensione al trascendente, per restringerne il campo a operatività, efficacia, valutazione, immediatezza, i quattro cavalieri dell’Apocalisse di una novlangue trasmessa dall’“esperto”, colui che ha il compito di legittimare un linguaggio operativo-decisionale che deve «mantenere il corpo sociale perennemente all’interno della logica del Medesimo» e «riprodurre la democrazia neoliberale assicurata da TINA» («there is no alternative»).