Etichettato sbrigativamente come poeta ermetico, Giuseppe Ungaretti si svincola in realtà dagli stilemi della poesia novecentesca per rifondare il linguaggio poetico, il concetto di parola quale pura essenza anche per i suoi significanti fonetici, per la sua posizione sintattica e per la frammentazione nel verso, nel quale gli spazi bianchi circondano le parole di silenzio. È un «miracolo» che conduce a un «mondo risuscitato nella sua purezza originaria», con il quale superare la dialettica tra creazione e distruzione, tra vita e morte, presente in tutte le sue liriche. La sua ricerca poetica è infatti indirizzata a considerare i propri stati psicologici, sempre legati alla sua biografia, come tappe per conoscere la realtà, per un disvelamento anche di carattere esistenziale; una concezione di vita come incessante vagabondaggio fino a spingere lo sguardo nella dimensione dell’infinito, cercando di toccarlo pur sapendo che non lo si potrà mai raggiungere.