Egli era così alto, che, per entrare dal grande arco nella galleria Vittorio Emanuele, fu costretto a piegarsi ed a camminare colle manaccie puntate sui femori poderosi, e solo nell’ottagono potè lasciare l’incomoda positura; ma nel rizzarsi, avendo preso male le misure, diè del testone nella cupola, e ruppe parecchie lastre di vetro, che gli caddero ai piedi con fracasso. Poco dopo si mosse ed uscì, come era entrato, da un arco laterale. Per le vie camminava spedito, ed in pochi passi fu ai vecchi portoni di Porta Nuova che scavalcò senza arrestarsi; quando giunse in piazza Cavour, seguito da una moltitudine a cui egli non badava, spinse uno sguardo enorme sopra i tetti della città di Milano, poi si chinò verso il gruppo di giovani acacie piantate dal Municipio per dar ombra alle generazioni future, ne prese una delicatamente, e se la infilò con garbo nell’occhiello del farsetto....