Dialogo sui tre principi della scienza - Perché una fondazione etica è necessaria all’epistemologia
II. La scienza fra l’etica e l’ontologia
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La seconda parte del Dialogo s’interroga sulle conseguenze che hanno avuto, per la scienza, da una parte la teoria della relatività, dall’altra la meccanica quantistica. Non è un caso che la meccanica quantistica e la teoria della relatività siano nate negli stessi anni in cui è nata la psicanalisi: come la fisica non è una conoscenza degli enti in quanto sono, indipendentemente da chi s’interroga su di essi, così il soggetto non è identico a se stesso e non coincide con la propria coscienza. E non è un caso neppure che la stessa parola “energia”, che tanto spazio ha nella fisica, nella lingua greca, sulla quale quella parola è stata ricalcata, significava atto.
Quando si traggono le conseguenze del fatto che l’atto individuale è costitutivo di qualunque scienza, avviene che la scienza propriamente detta – per esempio la matematica, la fisica ecc. – diviene una modalità regionale, delimitata da alcuni specifici presupposti, della scienza fondata sulla verità soggettiva. Ora, la scienza che tiene conto dell’eticità dell’atto dell’agente altro non è che quella pratica che gli antichi greci chiamarono filosofia. Infatti non è un caso che sia stato Platone il primo ad esprimere la differenza radicale fra la scienza – l’epistéme – e l’opinione.
Il fatto che la scienza moderna tenda a non riconoscere al proprio interno la funzione costitutiva dell’atto ha costretto l’epistemologia novecentesca a riconoscere che la verità della scienza è solo provvisoria, secondo la teoria popperiana della falsificabilità. Ciò ha fatto sì che la scienza moderna, se da un lato ha consentito gli enormi progressi della tecnologia e dell’economia, dall’altro ha anche finito per compromettere le stesse condizioni di vivibilità del nostro pianeta.
Se però della scienza ci si fa un concetto triadico, e quindi s’inserisce l’atto fra i suoi princìpi, diviene possibile costruire un concetto di scienza – vale a dire di sapere – dotato di maggiore estensione e di minore intensione (concetto che può eventualmente ridursi, a seconda delle premesse adottate, a questa o a quella scienza regionale, quindi, per esempio, sia alle scienze quantitative, sia alla psicanalisi, sia alla filosofia). Il termine latino scientia, in effetti, era riferibile a qualunque sapere, dall’astronomia, alla letteratura, all’arte, e persino alla culinaria e all’agricoltura. Chiunque, in effetti, ha una scienza – un sapere –, che lo guida anche nelle più semplici delle pratiche umane. Come aveva capito Husserl nella Crisi delle scienze europee, il fatto che le scienze moderne si fondino su ipotesi diverse e disparate – non incluse in una prospettiva etica comune – non esclude affatto che esse possano rientrare, con varie modalità, in una prospettiva unitaria, che allora diviene al tempo stesso filosofica e scientifica.