Che si tratti di un palcoscenico a picco sul mare d'Irlanda o di una baia di Hong Kong dove grattacieli vertiginosi affondano divorati dalle fiamme, Christoph Ransmayr ha sempre un luogo da raccontare.
Scrittore e viaggiatore instancabile, ha navigato su una rompighiaccio tra le banchise artiche, passeggiato sui pendii himalayani in compagnia di Reinhold Messner e ha saputo rintracciare nei suoi vagabondaggi il filo di un tempo che va «dal passato più profondo al futuro più lontano», il tempo della narrazione.
Ogni spazio toccato dall'occhio di Ransmayr si popola così di una pluralità di voci in dialogo tra loro: i suoni siderali di una Natura estrema, gli echi di antiche ballate migrate di bocca in bocca, i ricordi dell'infanzia fra i laghi d'Austria.
Tra gorilla misteriosamente saggi, creature degli abissi che paiono aliene e maiali di cui scrivere la biografia, le storie de "L'inchino del gigante" gettano una luce inedita e sorprendente sugli angoli più inaccessibili e disparati del pianeta Terra e su uno degli animali più strani che lo abitano: l'homo sapiens.