Il povero Ambrogio era propriamente sulle spine. Da un’ora, quel signor Cilecca della disgrazia andava in giro per le stanze con uno stuzzicadenti in bocca, la faccia contratta smorfiosamente per trattenere l’occhialetto sopra uno dei suoi occhioni da coniglio, e senza il menomo riguardo al conte Cosimo.
Anzi, pareva farlo a posta; sempre che doveva attraversare il salotto, dove il padrone di casa se ne stava seduto colla fronte nascosta nelle palme delle mani ed i gomiti appuntati a un tavolino, invece di rizzarsi sulla punta dei piedi, muoversi come un’ombra e dileguare, secondo consigliava Ambrogio collo esempio, quel signor Cilecca della disgrazia batteva i tacchi sul pavimento sonoro, o si piantava in osservazione dinanzi ad uno specchio, o faceva a voce alta una domanda a cui Ambrogio aveva già risposto.
— Di Francia, non è vero? chiedeva, picchiando colla nocca dell’indice sullo specchio.
Ambrogio faceva di sì col capo e si avviava verso l’uscio, sperando che l’altro si risolvesse a seguirlo nella stanza attigua.