Un giorno che piovea dirottamente, (era il pallido ottobre), e i valligiani del mondo si perdean dentro la mota, un giovinetto, amico mio, bizzarro gobbo, dagli occhi stranamente neri, questi versi cantò sotto l’ombrello: O padre eterno, se hai tempo da perdere e se non dormi nei placidi cieli, tu che ogni giorno alla turba ti sveli, padre, una volta, una sola, a me svèlati! Deh mi esaudisci e mi dona, o Signore, un po’ di lusso, di calma e di amore! Voglio un giardino ove i cedri coi salici fingan le valli dell’Etna, e del Rosa; dove il colibrì, tra i fior di mimosa, canti in famiglia col gufo e la rondine; dove, coperto di un’ellera eterna, mi sembri un chiosco la casa materna. Voglio una donna cui tutte somiglino le cento donne a vent’anni sognate; voglio una donna di tempre infocate, che sia la santa, che sia la Proserpina, e vinca in arte di teneri ludi quante hai lassù schiere d’angioli nudi!