Autentico Dioniso della poesia inglese, imbizzarrito da un talento baccanale, Dylan Thomas sapeva scrivere soltanto nell'ebbrezza dell'amore. Pearl Kazin, amica di Truman Capote e di Elizabeth Bishop, audace factotum di Harper's Bazaar, raffinatissima, fu la sua ultima Arianna: solitaria (in un remoto, distante oltreoceano) stella del 'mostro'. La amò, come sempre, più di tutte le altre ("Io so che ti amerò sempre, che non ti ho mai abbandonata"), le scrisse dei crudi torpori di Persia, da una Shiraz assediata da sciacalli aedi ("esprimono la loro misera e squallida gratitudine alla notte che nasconde i loro abominevoli volti"). Lei fu accanto a quell'uomo clownesco e labirintico, dal cuore pari a una pantera, fino alla fine.
In questo libro, oltre al folle carteggio tra il poeta e Pearl, si ricostruisce una pagina straordinaria per comprendere la ricezione critica di Dylan Thomas in Italia. Nel 1947, infatti, sulla rivista napoletana SUD, un giovanissimo Raffaele La Capria si confronta con la "promessa" (più che altro, una scommessa) della poesia occidentale. Pare di assistere alla genesi di un dio, di una divinità sdoppiata – di questo sacrilegio, il lettore serberà il marchio.