"Cato Maior de senectute" (Catone il Vecchio, sulla vecchiaia) è un'opera filosofica, in forma di dialogo, composta da Cicerone nel 44 a.C., e dedicata all'amico Attico. L'argomento della conversazione immaginata da Cicerone tra Catone il Censore, Gaio Lelio e Publio Cornelio Scipione Emiliano è la vecchiaia: l'anziano Catone spiega ai suoi interlocutori i motivi per i quali l'età senile non è da considerarsi un male.
"Sfuggono le ore, i giorni, i mesi, gli anni, non più ritorna il tempo passato e l'avvenire è ignoto. Ciascuno ha dovere di essere pago della durata della propria vita. Nella stessa guisa che poco importa se l'attore rimane sulla scena fino al termine della commedia, bastando per fargli plauso che reciti bene quando si mostra agli spettatori; così pure il saggio non ha bisogno di vivere fino all'ultimo termine dell'età affinché ottengano approvazione le proprie azioni. Per breve che sia la vita è sempre lunga abbastanza per chi sa vivere bene e onestamente. E perché arriva ad un'età avanzata, l'uomo non ha diritto di lagnarsene più dell'agricoltore, il quale lamenti perché dopo la florida primavera e l'estate, succedono l'autunno e il rigido inverno. La prima è immagine della gioventù e i venturi frutti prepara; nell'altre stagioni poi si colgono e vengono assaporati. Il prezioso frutto della vecchiezza è dunque riposto, soffrite che io lo ripeta, nella memoria delle frequenti e nobili imprese operate."
L'autore
Marco Tullio Cicerone (in latino Marcus Tullius Cicero) nato ad Arpino, 3 gennaio 106 a.C. e morto a Formia, il 7 dicembre 43 a.C, è stato un avvocato, politico, scrittore, oratore e filosofo romano.
Traduzione in italiano a cura di Michele Battaglia, 1866.