Dialogo sui tre principi della scienza - Perché una fondazione etica è necessaria all’epistemologia
III. La scienza come pratica formativa
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La scienza, derivando in ultima istanza dalle risorse del linguaggio, si trasmette. Essa ha quindi sempre un valore educativo. Occorre però distinguere l’educazione come semplice passaggio d’informazione dai meccanismi molto più complessi e sfumati della formazione. Infatti, ridurre l’educazione a trasmissione d’informazione riduce gli esseri umani a macchine. È ciò che pretende la teoria dell’intelligenza artificiale: noi in nulla saremmo diversi da un computer o da una macchina di Turing. E forse domani – o magari già oggi – la tecnologia potrebbe costruire delle coscienze che funzionerebbero molto meglio delle nostre.
Il problema è che, se noi, grazie al linguaggio, riusciamo talvolta a funzionare davvero come delle macchine, è invece escluso che una macchina possa mai capire alcunché, visto che non vive. Quindi nessuna macchina potrà mai dipingere gli affreschi della Sistina o comporre la IX Sinfonia. Solo gli esseri umani, infatti, vivono, e quindi si confrontano con le illusioni del desiderio e con l’orrore della morte. Questo ci fa capire quanto grande sia la nostra responsabilità, quando aiutiamo qualcuno a formarsi: dai nostri figli, ai nostri alunni, agli psicanalisti di domani.
Il fatto stesso che tanti sedicenti analisti abbiano accettato di ridurre la formazione dei loro allievi ai termini universitari dell’acquisizione delle competenze, per lo più false, della psicologia, dimostra quanto difficile – e necessario – stia diventando per tutti distinguere la formazione dall’informazione.
Se si ricordasse di questo, la psicanalisi potrebbe avere ancora oggi – anche se forse in modi molto diversi da quelli del passato – una funzione culturale e civile essenziale.
I progressi della scienza, se non vengono soggettivati eticamente, possono divenire distruttivi. La rete web e i meccanismi informatici, se per un verso hanno facilitato il lavoro intellettuale, per un altro rischiano di cancellare il senso dell’intero patrimonio culturale che la nostra specie ha accumulato in alcuni millenni di storia, appiattendo il sapere a informazione.
Abbiamo tutti – scienziati e psicanalisti, filosofi ed artisti, educatori e politici – il compito civile di distinguere chiaramente e praticamente la formazione individuale dall’informazione, che invece funziona a prescindere dalla soggettività. E dobbiamo tutti assumerci al più presto questo compito, se vogliamo trasmettere alle nuove generazioni qualche traccia della sapienza e della saggezza che abbiamo ereditato, per quanto con infinite esitazioni, dalle generazioni che ci hanno preceduto.