Guerra, violenza, educazione
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Questo quarto numero del “Giornale di bordo”, Guerra, violenza educazione, è in quattro sezioni.
La prima, Una questione preliminare: la guerra e l’utopia, presenta in anteprima un testo di Ettore Perrella (che sarà incluso nel quarto e ultimo tomo di Sovranità, libertà e partecipazione. Per un’etica politica globale, Polimnia Digital Edition, Sacile 2022), che rilancia con forza – come già fecero Einstein e Freud nel loro carteggio Perché la guerra? –, l’utopia kantiana della pace perpetua.
La seconda sezione, Una fonte dell’epistemologia freudiana, dedicata a Gustav Theodor Fechner, inaugura l’esplorazione di uno dei temi più trascurati dalla letteratura psicanalitica, che preferisce indagare l’opera dei maestri a prescindere dai crediti, o discrediti, nei confronti delle proprie fonti, sradicandola, di conseguenza, dal suo contesto storico.
Nella terza sezione, Prendersi cura dell’educazione, s’interroga ancora una volta la fobia del piccolo Hans, ma nell’ambito di un «esperimento pedagogico» e non di un “caso clinico”, che Freud non ha mai scritto. Si rivela così il limite di ogni pedagogia, che è il rifiuto di pensare il (concetto di) padre in relazione alla differenza sessuale – cioè al padre in quanto uomo che ha fatto di una donna l’oggetto del proprio desiderio –, per conservarlo solo in quanto padre ideale, contro la cui “sublimità” il piccolo Hans lottò con tutte le forze, salvo alla fine cedervi, nel «trionfo della rimozione». Ma le cose non sarebbero affatto cambiate se la sua fobia fosse stata trattata come un caso clinico. Proprio come accade per il bambino “autistico”, che se è considerato a priori come un caso clinico, non potrà mai essere incontrato come un bambino, e nemmeno potrà esserci un incontro, che può avvenire solo se si fa attenzione a «non calpestare il prato del soggetto». Infine, la cronaca nera ci ammannisce ogni giorno prove flagranti della “violenza di genere nei giovani”, al punto da farne un truismo mediatico che ci impedisce di pensarla come l’effetto di un discorso sociale produttore di ogni genere di violenza da consumare. Esistono infatti generi di violenza che non siamo neppure in grado di riconoscere, addirittura approvati istituzionalmente nelle scuole, come il “coaching motivazionale” (nel terzo numero del “Giornale” abbiamo già incontrato i tristi “obblighi ECM”).
L’ultima sezione, Letture, ci piacerebbe diventasse fissa, a condizione che non proponga delle “recensioni” ma narri degli effetti che la lettura di un testo produce su un lettore, che ne risulta tras-formato.