Mille piani. Capitalismo e schizofrenia
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La pubblicazione di Mille piani, nel 1980, è da considerarsi un evento del linguaggio e del pensiero, scioccante nel colpire e impercettibile nella sua azione trasformatrice, che ancora oggi continua ad agire sui corpi, individuali e collettivi. Come ogni evento, è dovuto scorrere del tempo – e forse altro ne passerà – perché la densità e la centralità dei temi di quest'opera venissero recepiti in tutta la loro importanza. Le scosse telluriche prodotte da questa «geologia della morale» riguardano svariati ambiti della relazione tra sapere, potere e desiderio, tanto nel campo umanistico, quanto in quello scientifico, economico e politico. L'episteme della tradizione – storica, politica, coloniale, patriarcale – viene colpita implacabilmente dal fuoco amico delle macchine da guerra filosofiche. E tra le fiamme delle immagini dogmatiche del pensiero, un rigoglio incantevole di suoni, luci, brezze, piante rizomatiche, vespe e orchidee, sciamani e animali di ogni sorta, esprime la complicità con un «popolo che manca», una comunità in divenire appena tratteggiata, che fa delle differenze e delle minoranze il cemento del domani. Per queste e altre ragioni Mille piani è un'opera filosofica ancora in grado di diagnosticare il nostro tempo, ma anche l'arsenale teorico che può riscaldare questi «anni d'inverno», iniziati in concomitanza con la sua pubblicazione e culminanti nella concretizzazione delle «società di controllo», illuminare a giorno la crisi ecologica ed economica che umilia il mondo intero, e far saltare in aria la marea di stupidità, fascismi e pulsioni di dominio che impoveriscono le nostre vite.