Una storia sbagliata
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Una storia sbagliata. Tre efferati omicidi, con macabre messe in scena simboliche, scuotono il sottobosco criminale di Torino. Ancora una volta, a indagare sono chiamati Silvano Stelvio, capo della Mobile torinese, e i suoi collaboratori. Dà il consueto supporto «esterno» Moreno, fratello di Silvano e supersbirro in congedo, alle prese con un lancinante esaurimento nervoso e con l’inizio di una traballante carriera di poliziotto privato insieme all’ex collega Pablo.
Moreno e Pablo indagano sulla scomparsa di Davide, un diciottenne con precedenti di tossicodipendenza, un outing difficile da accettare in famiglia e numerose fughe da casa. La Mobile arranca, e già la stampa evoca il serial killer o una guerra tra gang. Ma Torino non è l’America, Silvano ne è convinto e, pur nel buio fitto che avvolge l’indagine, cerca con ostinazione un filo logico, un appiglio. Che si paleserà in un esplosivo, spiazzante finale, che aggiungerà dramma a dramma e non lascerà scampo a nessuno.
«Quindi?» Spano alza lo sguardo. «Quindi cosa?» «Novità dalle indagini?» Spano sospira allargando le braccia. Che deve rispondere, che era già tutto previsto? Che questa retata è stata una risposta alla stampa più che un contributo investigativo? Che bisognava dimostrare ai media la forza, l’abnegazione e la determinazione delle forze dell’ordine? È davvero questo che vuol sentirsi dire il grande capo? «Il questore che dice?» replica Spano con una domanda. Il dottor Stelvio sorride. «Per qualche giorno può stare tranquillo. A Roma pare siano soddisfatti della retata. Sai, per loro contano solo le statistiche…» Spano si alza dalla poltrona. «Eppure, credimi, non riesco a levarmelo dalla testa il modus operandi di questo disgraziato di psicopatico del cazzo. Non riesco a trovarci una logica, dei punti di contatto. Non so se possa rappresentare una provocazione o una risposta, un monito. Cazzo, che significano queste morti? A chi vuol dire qualcosa?»
Una Torino dura, perduta, in un romanzo sporco, crudo. In cui non è previsto il lieto fine. Perché quasi mai la realtà finisce bene.