Sentiamo ripetere: «Siamo in una situazione di crisi» e «La crisi non accenna a finire». Sembra che in crisi sia la struttura stessa della società. Ma forse la crisi esiste fin dall’origine. Già Esiodo rimpiangeva l’età dell’oro, deplorando la stirpe del ferro della sua epoca. Tuttavia, la nostra crisi presenta tratti nuovi ed estremi che la fanno somigliare a uno stadio terminale in cui l’umano è minacciato di sterminio sotto almeno tre aspetti: tecnologico, ecologico e teocratico. È solo quando qualcosa è sul punto di sparire che ci si rivela nei suoi contorni singolari e con la sua presenza insostituibile. E allora, vale ancora la pena di dare la vita a un mortale? Su tali questioni decisive si muove la riflessione inconfondibile e felicemente paradossale di Fabrice Hadjadj: la sua risposta è per un’alleanza di tradizione e modernità, di escatologia e cultura, di lucidità davanti alla morte ed educazione aperta alla vita.