Che sfiga, Raffaello!
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Bello, talentuoso, famoso, amato dalle donne e stimato dagli uomini. La sua opera è sinonimo di perfezione ed equilibrio.
All’apice della fortuna e della gloria, Raffaello si ammala e il sei aprile 1520, lo stesso giorno del suo compleanno, muore dopo quindici giorni di febbre e salassi inutili. Il suo ultimo capolavoro viene posto sopra il suo letto di morte; vicino a lui l’amata Margherita, in lacrime, distrutta dal dolore, e il commosso saluto dell’intera corte pontificia. La reale causa della malattia resta però un mistero. Si mormora sifilide ma anche avvelenamento da arsenico. E non solo perché il pittore urbinate era molto invidiato alla corte del papa, aveva accumulato grandi ricchezze ed era protagonista di sfide con altri artisti. Le testimonianze della prima riesumazione, effettuata nel 1700, raccontano infatti che il corpo dell’artista fu trovato in ottimo stato.
Maria Teresa Landi e Luciana Tola utilizzano in parte lo stesso artificio letterario sperimentato nel fortunato Leonardo alla sbarra e danno voce a Raffaello in un Aldilà che molto somiglia a una corte rinascimentale, in cui bellissime donne e colti gentiluomini conversano e inventano passatempi.
Così, ecco che il Sanzio racconta su invito di tre belle dame tra cui Isabella d’Este il suo incontro con Margherita, la popolana di cui si innamorò perdutamente; con Baldassarre Castiglione rievoca gli anni della loro amicizia; con Leonardo da Vinci esplora il web per dare risposta a un quesito che lo assilla: gli uomini si ricordano di lui e della sua arte a cinquecento anni dalla morte?