L’alcova d’acciaio
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Letteratura - romanzo (279 pagine) - Un romanzo pieno di violenza e di passione, in cui l’esaltazione esasperata del bellicismo si fonde con un’ossessione erotica feroce, capace di pervadere i corpi vivi di uomini e animali e, addirittura, gli oggetti inanimati.
Nel romanzo viene trasfigurata in chiave eroica la partecipazione bellica di Marinetti durante le ultime battute della grande guerra. L’esperienza della trincea, della malattia, delle ferite, delle mutilazioni e della quotidianità della morte è inquietantemente ribaltata in senso vitalistico ed entusiastico. La guerra diventa quindi una festa macabra dove vita e morte si intrecciano in un vortice di dolore e piacere. Una libido amplificata pervade ogni dettaglio della narrazione: così Marinetti, ricoverato all’ospedale prima per una polmonite e poi per una seria ferita all’inguine, non si lamenta per la sofferenza, ma si dispera per la mancanza di donne da possedere lì, sulla sua brandina di corsia. È un libro importante da leggere per comprendere quel clima psicologico postbellico (il romanzo fu scritto tra 1919 e il 1920 e pubblicato nel 1921), in cui l’incapacità di riadattarsi a un’ordinaria esistenza borghese dopo la prova adrenalinica della guerra determinò per molti la ricerca di nuovi universi di violenza e contribuì, a poco a poco, a far dilagare il fascismo.
Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d’Egitto, 22 dicembre 1876 – Bellagio, 2 dicembre 1944), celebre per aver fondato il Futurismo nel 1909, dedicò tutta la propria vita alla promozione del proprio movimento in Italia e all’estero. Fu da sempre un convinto interventista e partecipò a numerosi conflitti come militare (Grande guerra; Guerra d’Etiopia; Seconda guerra mondiale). Aderì al fascismo, pur mantenendo la propria indipendenza intellettuale (che gli causò non pochi problemi con alcuni gerarchi), e restò fedele a Mussolini anche dopo l’8 settembre. Nonostante il suo ostentato machismo, nel privato fu un marito affettuoso (la moglie Benedetta Cappa era una pittrice) e un padre amorevole con le sue tre figlie (Vittoria, Ala e Luce). Scrisse numerosissime opere (alcune composte in prima battuta in francese), tra le quali possiamo annoverare il celebre scritto parolibero Zang tumb tuuum (1914); molteplici racconti (si citino almeno le raccolte Gli amori futuristi, 1922; Scatole d’amore in conserva, 1927; e Novelle con le labbra tinte, 1930); i romanzi Mafarka il futurista (1909) e Gli indomabili (1922); il dramma Il tamburo di fuoco (1922); il divertissement 8 anime in una Bomba (1919) e i resoconti di guerra Il poema africano della Divisione “28 ottobre” (1937) e Originalità russa di masse distanze radiocuori (postumo).