Le donne di Minsk
La rivolta pacifica per la democrazia in Bielorussia
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Il 9 agosto 2020, appresi i risultati delle elezioni presidenziali, frutto di brogli e intimidazioni, una mobilitazione mai vista si riversa nelle piazze per protestare contro la conferma a presidente della Bielorussia di Aleksandr Lukashenko, da 26 anni al potere.
Le autorità di Minsk danno vita a una massiccia campagna di arresti nei confronti di migliaia di manifestanti pacifici, cui seguono torture nei centri di detenzione della capitale e di altre città del Paese.
Laura Boldrini e Lia Quartapelle solidarizzano immediatamente col movimento di protesta, il cui epicentro è l’attivismo delle donne: si recano a Vilnius per incontrare la leader dell’opposizione, Svetlana Tikhanovskaya, tornano in Italia per raccontare il loro viaggio e fondano un comitato di solidarietà, che intende sostenere il processo democratico raccogliendo intorno a sé l’attenzione dei movimenti per i diritti umani e che coinvolge da subito la diaspora bielorussa in Italia.
A distanza di un anno da quegli avvenimenti, questo libro vuole fare il punto della situazione, rendere omaggio alla straordinaria prova di coraggio delle piazze bielorusse, in modo particolare delle donne, e raccontare la recente storia di un Paese di cui si conosce poco.
“Una rivoluzione popolare, che oggi viene repressa con una brutalità che in Europa non si era vista dal 1968, dai carri armati russi a Praga. Le ragazze di Minsk che tanto avevano entusiasmato i fotografi oggi sono in carcere […] oppure sono scappate dal loro Paese, per paura di venire incarcerate, picchiate, stuprate. L’Ucraina, la Polonia e la Lituania sono piene di esuli, migliaia di persone che hanno scelto la fuga, spesso all’ultimo momento prima dell’arresto, di fronte al dilemma atroce se rischiare la libertà o mettersi in salvo e lasciare come ostaggi al regime parenti e amici. Le denunce di torture – per far confessare, per rivelare i nomi di altri attivisti, per puro sadismo – sono centinaia: manganelli, elettroshock, soffocamenti e le morti sospette in cella sono casi su cui nessuno indaga, nonostante alle famiglie vengano restituiti corpi con evidenti segni di traumi. Si viene arrestati per una parola sbagliata, un colore dei calzini (bianco-rosso) sgradito, per un post su Telegram”. (Anna Zafesova)