Mamma mia dammi cento lire
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Mamma mia dammi cento lire. Chissà quante volte abbiamo sentito questo ritornello simpatico e strampalato. Altri tempi, forse un gioco di parole un po’ ingenuo, desueto. Ma quello che la canzone testimonia ancora oggi è il dramma dell’emigrazione, che ha condotto centinaia di migliaia di nostri connazionali lontano dal suolo natio, alla ricerca di un futuro, con la speranza che questa nuova vita fosse migliore di quella che si erano lasciati alle spalle: solitamente poveri, contadini e analfabeti; partivano e viaggiavano in condizioni estreme e quando arrivavano li aspettavano pregiudizio, razzismo e violenze. La storia si ripete e coloro che oggi vedono l’Italia come un sogno trovano ad attenderli gli stessi pregiudizi, lo stesso razzismo: stessa disperazione che motiva la partenza, tutti i propri averi investiti in un viaggio della speranza, la stessa voglia di cambiare il proprio destino, le ansie, le paure, i successi e le sconfitte. Ma non si è esaurita la diaspora italiana: molti giovani hanno capito che è meglio partire con l’ansia di un futuro incerto altrove, che restare con la disillusione e le speranze spezzate. Riusciremo a riscoprire il nostro passato senza revisionismi ma con l’umiltà di chi crede che ogni essere umano ha diritto a sognare un futuro migliore?
Tre racconti compongono questa silloge che invita a riflettere sul tema sempre scottante della migrazione dei popoli: il primo ambientato nel 1948, narra la storia di Alfredo e Leda costretti a lasciare la loro Viareggio per cercare fortuna a Buenos Aires; il secondo la storia di un giovane albanese che decide di lasciare la sua terra per cercare fortuna e speranza in Italia; infine il gustoso cammeo di un italiano che dopo aver fatto fortuna in America ritorna nel suo paese natio in cerca di una moglie.