Maneggiare assoluti
Immanuel Kant, Primo Levi e altri maestri
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La filosofia, anche quella più incline a farsi coinvolgere nell’impresa di estinguere la sete dell’assoluto, contiene in sé, nella propria vocazione alla ricerca di una comune verità mediante il dialogo, un antidoto indispensabile al rischio (auto)distruttivo che può annidarsi in ogni tentativo umano, tanto umano di cogliere la totalità, l’infinito, Dio. Anche le grandi tradizioni religiose, quelle che da secoli sono impegnate a tracciare sentieri, trovare parole, celebrare liturgie per saziare la fame di assoluto che agita il cuore e la mente degli uomini, non possono fare a meno di intessere un intenso dialogo con questa tradizione di ricerca, soprattutto nei momenti cruciali, quando diventa urgente addomesticare i dèmoni (fanatismo, intolleranza, totalitarismo) che una frequentazione inadeguata del sacro può evocare. La consapevolezza che anche la filosofia non possa dichiararsi storicamente innocente non cancella ma spinge a ritrovare sempre di nuovo la vocazione più profonda di quest’originale forma di esercizio spirituale: una ricerca appassionata del bene e della verità, capace di resistere alla suggestione del possesso compiuto e di mantenersi in quella apertura alla possibilità dell’errore che è presidio di autentica libertà per sé e per gli altri. Nel cammino per apprendere quest’arte di maneggiare gli assoluti, diventa allora importante scegliere con cura i propri maestri, frequentare l’orto che hanno seminato, imparare a usare gli arnesi che hanno adoperato, per diventare capaci di costruirne di nuovi, quelli che si rendessero necessari per coltivare il campo della propria personale esperienza di vita.