Per motivi di giustizia
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Un viaggio tra le storie di vita di lavoratori e lavoratrici che si ribellano alla schiavitù del lavoro e in particolare al padronato capitalista, alle agromafie e al caporalato. Storie di donne e uomini che rappresentano un’Italia che non si arrende, nonostante il razzismo, il lavoro forzato, la schiavitù, le mafie e una profonda e strumentale indifferenza che è propedeutica a questo sistema. Storie come quella di Balbir Singh, che ha lavorato per sei anni in un’azienda agricola dell’Agro Pontino alle dipendenze di un padrone italiano che lo considerava un animale senza diritti. Balbir si è ribellato, lo ha denunciato e si è costituito parte civile nel relativo processo, nonostante sapesse di aver “infastidito” la ’ndrangheta. Seguono le vicende di molti altri braccianti, uomini e donne, migranti e italiani, ribelli per scelta alla schiavitù dei padroni e dei padrini d’Italia. Storie di lavoratori, come abbiamo smesso di raccontarle.
«Prima o poi lo schiavo si ribella e la sua coscienza urla. La schiavitù e lo sfruttamento sono destinati a fallire perché tra la loro ontologia e la loro traduzione empirica resta uno iato in cui l’uomo rimane uomo e può agire, ribellandosi, per riconquistare la propria dimensione, personalità e coscienza. Siamo destinati a vincere.»