Per una clinica dello psicanalista
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L’idea contenuta nel titolo merita di essere sostenuta, perché non esiste ancora una clinica dello psicanalista, a differenza di altre professioni a rischio che ne sono provviste, in particolare, per un analista, il “rischio supremo” di far sbandare un’analizzante dal suo divano al suo letto.
Tuttavia, la proposta di questa raccolta di testi non è di redigere una lista delle patologie che minacciano lo psicanalista (la melanconia, la fobia, gli eccessi della dissolutezza, l’alcoolismo, la stupidità, l’identificazione all’analista e altri difetti personali di cui le biografie degli analisti, come i romanzi di cui sono gli eroi, sono prodighe) e di contrapporvi le terapeutiche più appropriate. Ma, precisamente, di sottrarre lo psicanalista da quanto ho proposto chiamare la “trappola del curato” – ovvero, quella propensione che hanno i preti, e talvolta i vescovi se non il papa stesso, di mettersi sulle ginocchia le pecorelle particolarmente appetitose, in particolare e soprattutto perché l’amore di transfert le mette in posizione favorevole.
Sì, la trappola del curato merita da sé sola che ci si batta per una clinica dello psicanalista. Perché è in lui che si rivela e si concentra la frode nella quale questo mestiere può, alla fine di tutti i conti (alla fine di tutti i rischi che comporta), finire per soccombere, e che consiste nel credersi animato da un desiderio puro, sprezzante del corpo pulsionale, senza misurarne le conseguenze così drammatiche per gli analizzanti, come quella di un bieco passaggio all’atto.
«La verità, come dice Bataille, è nella camera degli amanti», non nel cielo stellato dello studio dello psicanalista, salvo a titolo provvisorio, propedeutico, e alla condizione che la trappola del curato venga sventata senza tregua, fino e compreso a lasciare il campo alle indispensabili vampate del transfert negativo.
(Dalla prefazione di Pierre Eyguesier)