Che cosa accomuna un poeta come Borges che parla della sua città all'immigrato che si ambienta in una nuova realtà, o ancora l'indigeno indonesiano che vede nel proprio villaggio il riassunto del mondo all'abitante di un cortile della Palermo storica? Una competenza, pari per ricchezza e implicazioni al linguaggio, che si acquisisce con l'abitare, con la frequentazione diretta dello spazio che ci circonda. Muovendosi nel tempo e nello spazio in un percorso che va dai pescatori di Terrasini alla Parigi di Perec, La Cecla rintraccia questa interazione ininterrotta tra noi e il nostro ambiente che ci è talmente familiare da non essere percepita. E se oggi questa interazione si è spesso ridotta al mero consumo – dopo essere stata in buona parte espropriata dagli «esperti dello spazio»: architetti, politici, amministratori… – la nostra capacità di fare mente locale rimane latente e approfitta di ogni crepa del sistema burocratico per venire fuori. Ed è proprio questo dialogo continuo e impercettibile con il nostro ambiente quello che ci permette non solo di usarlo ma anche di trasformarlo.