All’alba dei miei ricordi, bella, rosea, bionda immagine di costante giovinezza, arride la mia nonna dolce. Dico la nonna da parte di padre; che l’altra non l’ho conosciuta, essendo ella morta prima ch’io venissi alla luce. Intorno al quale evento modesto sarà bene che io dica qui il mio pensiero una volta per tutte. È stata una buona cosa il capitare da queste parti, per le belle curiosità che il mio spirito ha potuto appagare, per le utili lezioni che il mio intelletto ha potuto ricevere, e per la calma serena con cui l’anima mia è disposta a vedere un altro pianeta, ora che è stata sufficientemente istruita di questo. Io sono dunque riconoscente del dono, quantunque non ne abbia fatto il miglior uso del mondo; specie negli anni più giovani. Ma questo succede il più delle volte dei doni ottenuti, che subito lavoriamo a sciuparli, per la inconcepibile manìa del vederci dentro. Ma queste sono inezie, da non guastarcisi più il sangue, oramai. Non solamente son grato al babbo e alla mamma, che mi han fatto quel dono; ma ancora alla nonna, che me ne ha confermato il possesso, in un brutto quarto d’ora, e me ne ha reso il godimento più ameno. Com’era buona, la nonna! Babbo e mamma mi sgridavano qualche volta; lei non mi sgridava mai, me le passava tutte, non riuscendo con quelle care luminose pupille azzurrine a farmi gli occhiacci. Mamma e babbo mi stavano sempre addosso per farmi studiare; lei non mi pose mai un libro tra le mani.