Raccolta poetica pubblicata nel 1903, ma definitasi così come ora si legge nelle edizioni postume del 1912 e 1914, Canti di Castelvecchio è tra le opere più giustamente celebrate di Giovanni Pascoli. Rappresenta una ideale prosecuzione delle Myricae, dalle quali riprende la circoscritta tematica biografica e sentimentale, alternando tuttavia all'approfondimento narrativo del trauma iniziale (La voce, La cavalla storna) la scoperta di una precaria linea di difesa contro le atrocità del mondo e gli abissi della morte e dell'infinito (Il brivido, Il ciocco ecc.). Tale difesa è costituita in fin dei conti dalla missione poetica (La poesia, L'usignolo e i suoi rivali, Il gelsomino notturno), che favorisce la rinuncia a una comune vita affettiva e la ricostituzione di un nido familiare di superstiti votati alla memoria dei morti.